mercoledì 23 aprile 2014

Annie e i bambini speciali

Avevo appena quattro anni quando ne vidi uno per la prima volta. Il mio fratello di allora, Jacob, sedici anni, se ne era già andato di casa da due anni e solo i miei genitori ne sapevano il motivo. Io fui all’oscuro di tutto fino all’età di dieci anni. Come stavo dicendo, avevo solo quattro anni quando per la prima volta ne vidi uno, quando vidi un Vacuo.

I Vacui sono esseri orribili, dei mostri dalla pelle putrefatta e verdastra, dal muso da cane e le zampe da leone. Al posto della lingua, nella loro bocca troneggiano tre tentacoli violacei e lunghi. La testa è deforme e sproporzionata rispetto al corpo gracile, debole ma letale.
Ero nella mia cameretta rosa, mi girai verso il cesto dei giochi per prendere il mio libro di Cenerentola, e quando mi rivoltai, eccolo, lo vidi. Il suo musone verde era a tre centimetri dal mio nasino, gli occhi minuscoli e neri come grani di pepe mi scrutavano la faccia. Indietreggiai in modo tale da riuscire a vederlo per intero. Ero terrorizzata, cosa fare? Correre dalla mamma o salire sul lettino a castello per essere più in alto di lui? Optai per la mamma così feci dietro front e come una saetta corsi in salotto dalla mamy e le saltai in braccio «Mamma mamma!», urlai piangendo, «Mamma, in camera mia c’è un mostro! È orribile e mi fa tanta paura!». Affondai il viso nel morbido maglione in cashmere che indossava. «Non ti preoccupare, il mostro era solo un’ombra, ora è andato via», rispose. «Me lo prometti?» «Promesso». Mi addormentai accoccolata sul divano.

A sette anni ero diventata una bambina molto scettica, perciò ero del tutto convinta che quella mia “Visione” non era stata altro che un prodotto della mia fervida immaginazione che aveva lavorato mettendo insieme un mucchio di cose viste durante quella giornata e compattandole in quell’essere rivoltante.

A otto anni incominciai a non dormire più bene la notte, mi svegliavo grondante di sudore senza alcun motivo e guardandomi intorno non vedevo altro che occhi che mi fissavano, una cosa orribile.

A nove anni cominciai a sognare ogni notte quel mostro, anche i maestri dicevano ai miei genitori che ero sempre tesa e turbata. Ma la cosa peggiore era che non sapevano cosa nascondevo sotto al letto, una sfilza di disegni del mostro, sotto ogni angolazione e in ogni colore, stilizzato e a fumetto: insomma, ne avevo disegnate di crude e di cotte.

A dieci anni finalmente mi fu detta la verità. «Papà?», dissi dirigendomi in cucina. «Dimmi, Annie». «Ma Jacob dov’è, papà? È morto? O è ancora vivo? E il nonno? Chi l’ha ucciso? E quel mostro... che cos’era?!». Giravo gli occhi dal volto di mio padre a quello di mia madre in cerca di una risposta.
Il sorriso che fino a poco prima era sul volto di mia madre svanì in un secondo. «Vieni con me», rispose. Mi prese per mano e mi portò in quella che era la camera di Jacob. Aprì l’immenso armadio e tirò fuori uno scatolone con su scritto “Ricordi”. Lo aprì e ne estrasse di tutto, album di foto, di disegni, vecchie lettere d’amore ed ecco, là in fondo un vecchio foglio ingiallito ripiegato in tre. «Cos’è?», chiesi impaziente. Mi porse il foglio «Leggi» rispose. Aprii il pezzo di carta e lessi a bassa voce, vi era scritto “Ciao, sono Emma, ho saputo da Jacob che hai trovato una vecchia lettera che avevo scritto ad Abe di quando eravamo giovani, non stava tradendo tua madre, la amava. Con affetto, Emma”.  

«Chi è Emma, mamma?». Il silenzio regnò nella stanza per qualche secondo. «Lei è stata una torcia per Jacob, letteralmente, sapeva accendere il fuoco con le mani, lei era una bambina speciale...»

Margherita Berto
(continua?)

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