martedì 22 aprile 2014

Le nuove avventure di Ulisse

Vi presentiamo una fantastica macedonia di miti in salsa epica, con spezie pop, preparata per voi dalla nostra Giada…

Buona lettura!


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Ulisse camminava da due giorni  in quella foresta buia e senza vita, era stanco, voleva dormire, ma aveva paura di sognare un’altra volta la tragica uccisione dei suoi compagni di navigazione: alcuni erano stati divorati dal ciclope Polifemo, Ulisse se l’era cavata con l’astuzia. Altri  si erano persi nelle acque del Mare dei Mostri, solo Ulisse si era salvato approdando in quell’isola selvaggia. Non poteva andarsene perché la barca era alla deriva in frantumi, poteva solo sperare di trovare qualcuno così gentile da ospitarlo e aiutarlo a costruire una nuova zattera.

Ad un certo punto, pensando di non avere più speranze, vide una fioca luce. Non poteva essere il sole perché era notte, né la luna perché gli alberi la coprivano. Ulisse avanzò, ora più svelto, e quando fu più vicino poté scorgere una capanna di legno. La prima cosa che notò, dopo la capanna, erano delle statue, delle vere statue umane a grandezza naturale e a figura intera, ricche di particolari. E non solo statue di uomini e donne, ma anche di satiri, ninfe e centauri.

Ulisse si chiese chi le avesse fatte.

Vicino a un laghetto, che Ulisse intravide poco dopo, c’era una donna voltata di spalle, avvolta da un velo nero. Solo i capelli si vedevano, ma in quei capelli… c’era qualcosa di strano, sembrava… si muovessero. Ma l’uomo pensò che fosse la sua immaginazione.

Si fece coraggio, e disse: «Mi scusi, signora. Sono un pover’uomo che cerca riparo e qualcosa da mangiare. Sarebbe così gentile da esaudire la mia umile richiesta?». Per precauzione non disse il suo nome, prima voleva vedere  il volto della giovine dama. «Audace eroe», cominciò a dire la donna, «io so chi sei, e che sventure ti sono capitate in questi anni, ma ti prego, vieni più vicino, non riesco a vederti». La sua voce era calma e gentile, Ulisse come ipnotizzato si avvicinò, ma quando vide il riflesso del viso della dama sulla superficie del laghetto, un brivido gli percorse la schiena. Sentì un sibilo. Al posto dei capelli… al posto dei capelli c’erano dei serpenti. Ulisse stava guardando di spalle… Medusa. Fece per prendere la spada che portava sempre con sé, ma si accorse che non c’era, il fodero era vuoto. Poi si ricordò, l’aveva persa nell’isola del Ciclope. Con la spada aveva perso anche lo scudo, ma le sfortune non erano ancora finite, Medusa aveva capito che Ulisse aveva scoperto la sua vera identità. Quindi si girò. Istintivamente Ulisse chiuse gli occhi, non voleva diventare una statua da giardino. Adesso, come faceva a uccidere Medusa senza un’arma?

Il sibilo dei serpenti fece smettere Ulisse di pensare, il mostro si stava avvicinando. Poi parlò: «Apri gli occhi, mio caro Ulisse, non costringermi ad aprirteli con la forza, sarebbe un peccato rovinare questa bella faccia». Era così vicina che praticamente gli stava parlando all’orecchio. I serpentelli stavano torturando il pover’uomo sibilando e tirando fuori la lingua, cercavano di aprirgli gli occhi, ma Ulisse non dava segno di cedere.

Lei continuò: «Io ti trasformerò in una statua, è meglio essere pietrificati che uccisi dal guardiano dell’isola». “Dice sul serio?”, pensò Ulisse “c’è davvero un guardiano, oppure è una scusa per farmi aprire gli occhi?”. L’eroe era confuso, perché prima di allora non aveva visto il guardiano dell’isola. Poi all’improvviso Ulisse sentì in lontananza un ruggito e degli alberi caddero. Quel mostro doveva essere gigante. Medusa si girò, perché il verso del mostro fu così potente da rovesciare le statue e infrangere in mille pezzi una finestra della capanna. Ulisse colse l’occasione al volo e si catapultò dietro a una statua di satiro. Aprì gli occhi, per terra vide dei pezzettini di vetro molto taglienti. Ebbe un’idea a dir poco geniale, si mise in tasca due pezzetti di vetro lunghi due pollici e un pezzo di vetro lungo quattro pollici, e sentendo la voce di Medusa chiuse gli occhi.

Da quello che Ulisse capì con gli occhi chiusi, Medusa agguantò la statua-satiro e la scagliò a terra, con una forza eccezionale. La statua si ruppe. Poi agguantò l’eroe per il colletto della maglietta e lo tirò su di peso. Infine lo portò in un angolo. Ulisse non aveva via di scampo. Medusa parlò. «Allora, non vuoi aprire gli occhi di tua spontanea volontà, vorrà dire che  i miei amichetti te li apriranno con la forza». Detto questo, i serpentelli (per fortuna non velenosi) cominciarono a morsicare le palpebre di Ulisse. Ma lui, cercando di non far rumore, mosse la mano dentro la tasca e prese un pezzetto di vetro, quello piccolo, lo scagliò proprio dritto contro i serpentelli, ma loro lo schivarono con un’inaspettata agilità. Subito dopo l’eroe prese l’altro pezzettino e lo scagliò, ovviamente sempre con gli occhi chiusi, questa volta si sentì un rumore agghiacciante. Ulisse aprì gli occhi, vide la testa di Medusa per terra.
L’eroe disgustato strappò un pezzo del velo che ricopriva il mostro e lo avvolse intorno alla testa di Medusa, sapeva che anche da morta, la mostruosa donna poteva pietrificare.

Successivamente entrò dentro la capanna e prese uno zainetto consunto col tempo, e ci mise dentro un po’ di viveri e dei soldi che trovò nella stanza di Medusa. Quindi se ne andò dimenticandosi… della presenza del guardiano.
Ma questo durò solo pochi secondi, perché Ulisse se lo trovò davanti al naso. Era enorme, alto sei metri, aveva cinque teste… era… beh fate voi, mettete insieme: un serpente gigante, un drago sputafuoco e aggiungete altre quattro teste. Il gioco è fatto. La faccia al centro sputò fuoco e Ulisse si scaraventò di fianco. Ulisse non si ricordava che nome avesse, qualcosa nella sua mente sapeva che quel mostro aveva una dote speciale, ma Ulisse non se lo ricordava.
Per fortuna l’eroe aveva ancora il pezzo di vetro grande quattro pollici. Ulisse provò a fare la stessa cosa che aveva fatto con Medusa. Si catapultò sulle cinque teste e le tagliò tutte in un solo colpo.

Ma successe qualcosa di strano, le teste ricrebbero raddoppiate di numero. Adesso erano dieci e due sputavano fuoco. Solo ora Ulisse si ricordò che quel mostro si chiamava Idra e la cosa che non si doveva assolutamente fare era proprio tagliare le sue teste. Tutte e dieci le teste partirono alla carica, cercando di mordere e mangiare Ulisse. L’eroe non fece in tempo a togliersi dalla traiettoria del mostro che una testa lo inghiottì. Ulisse scese per la gola del mostro. Si ritrovò a galleggiare nell’intestino dell’Idra. Il pover’uomo era coperto da capo a piedi di melma, e si guardò intorno, non c’era molto spazio, e non c’era nessuno. Vide delle bollicine, forse l’Idra era pronto per digerire Ulisse. Lui cominciò a battere contro l’intestino del mostro.

Poi si ricordò di avere ancora lo zaino in spalla, lo prese, lo aprì e tirò fuori una bottiglia di vino scaduto. La rovesciò e subito dopo si sentì un grosso rutto che rimbombò per tutta la foresta. Di colpo Ulisse si trovò di nuovo nella buia familiare selva, il trucco aveva funzionato, ma il mostro era ancora lì vicino a lui. Ma prima che l’Idra potesse scagliare un altro colpo, Ulisse tirò fuori la testa di Medusa.  Tolse il velo al viso della terribile donna, e chiuse gli occhi. Si sentì un sinistro rumore, e quando l’eroe riaprì gli occhi vide una statua dell’Idra a grandezza naturale.

Quasi subito successe qualcosa di strano: una driade, spirito della foresta, si avvicinò a lui e disse: «Oh, giovane eroe, tu hai salvato la mia isola, hai pietrificato il guardiano dell’isola che  mi teneva prigioniere con le altre ninfe, ti rendiamo grazie. Accetta il mio dono», e come per magia aprì tra gli alberi un varco da dove Ulisse vide il mare. Ormeggiata alla spiaggia c’era una nave. L’eroe ringraziò la driade e salpò.
Verso la sua amata casa.

Giada Tondello 

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