Vi presentiamo una fantastica macedonia di miti in salsa epica, con spezie pop, preparata per voi dalla nostra Giada…
Buona lettura!
o
Ulisse camminava da due
giorni in quella foresta buia e senza
vita, era stanco, voleva dormire, ma aveva paura di sognare un’altra volta la
tragica uccisione dei suoi compagni di navigazione: alcuni
erano stati divorati dal ciclope Polifemo, Ulisse se l’era cavata con
l’astuzia. Altri si erano persi nelle
acque del Mare dei Mostri, solo Ulisse si era salvato approdando in quell’isola
selvaggia. Non poteva andarsene perché la barca era alla deriva in frantumi,
poteva solo sperare di trovare qualcuno così gentile da ospitarlo e aiutarlo a
costruire una nuova zattera.
Ad un certo punto, pensando
di non avere più speranze, vide una fioca luce. Non poteva essere il sole
perché era notte, né la luna perché gli alberi la coprivano. Ulisse avanzò, ora
più svelto, e quando fu più vicino poté scorgere una capanna di legno. La prima
cosa che notò, dopo la capanna, erano delle statue, delle vere statue umane a
grandezza naturale e a figura intera, ricche di particolari. E non solo statue
di uomini e donne, ma anche di satiri, ninfe e centauri.
Ulisse si chiese chi le avesse fatte.
Vicino a un laghetto, che
Ulisse intravide poco dopo, c’era una donna voltata di spalle, avvolta da un
velo nero. Solo i capelli si vedevano, ma in quei capelli… c’era qualcosa di
strano, sembrava… si muovessero. Ma l’uomo pensò che fosse la sua
immaginazione.
Si fece coraggio, e disse: «Mi
scusi, signora. Sono un pover’uomo che cerca riparo e qualcosa da mangiare.
Sarebbe così gentile da esaudire la mia umile richiesta?». Per precauzione non
disse il suo nome, prima voleva vedere il
volto della giovine dama. «Audace eroe», cominciò a dire la donna, «io so chi
sei, e che sventure ti sono capitate in questi anni, ma ti prego, vieni più vicino,
non riesco a vederti». La sua voce era calma e gentile, Ulisse come ipnotizzato
si avvicinò, ma quando vide il riflesso del viso della dama sulla superficie
del laghetto, un brivido gli percorse la schiena. Sentì un sibilo. Al posto dei
capelli… al posto dei capelli c’erano dei serpenti. Ulisse stava guardando di
spalle… Medusa. Fece per prendere la spada che portava sempre con sé, ma si
accorse che non c’era, il fodero era vuoto. Poi si ricordò, l’aveva persa
nell’isola del Ciclope. Con la spada aveva perso anche lo scudo, ma le sfortune
non erano ancora finite, Medusa aveva capito che Ulisse aveva scoperto la sua
vera identità. Quindi si girò. Istintivamente Ulisse chiuse gli occhi, non
voleva diventare una statua da giardino. Adesso, come faceva a uccidere Medusa
senza un’arma?
Il sibilo dei serpenti fece
smettere Ulisse di pensare, il mostro si stava avvicinando. Poi parlò: «Apri
gli occhi, mio caro Ulisse, non costringermi ad aprirteli con la forza, sarebbe
un peccato rovinare questa bella faccia». Era così vicina che praticamente gli stava
parlando all’orecchio. I serpentelli stavano torturando il pover’uomo sibilando
e tirando fuori la lingua, cercavano di aprirgli gli occhi, ma Ulisse non dava
segno di cedere.
Lei continuò: «Io ti
trasformerò in una statua, è meglio essere pietrificati che uccisi dal
guardiano dell’isola». “Dice sul serio?”, pensò Ulisse “c’è davvero un
guardiano, oppure è una scusa per farmi aprire gli occhi?”. L’eroe era confuso,
perché prima di allora non aveva visto il guardiano dell’isola. Poi
all’improvviso Ulisse sentì in lontananza un ruggito e degli alberi caddero.
Quel mostro doveva essere gigante. Medusa si girò, perché il verso del mostro
fu così potente da rovesciare le statue e infrangere in mille pezzi una finestra
della capanna. Ulisse colse l’occasione al volo e si catapultò dietro a una
statua di satiro. Aprì gli occhi, per terra vide dei pezzettini di vetro molto
taglienti. Ebbe un’idea a dir poco geniale, si mise in tasca due pezzetti di
vetro lunghi due pollici e un pezzo di vetro lungo quattro pollici, e sentendo
la voce di Medusa chiuse gli occhi.
Da quello che Ulisse capì con
gli occhi chiusi, Medusa agguantò la statua-satiro e la scagliò a terra, con
una forza eccezionale. La statua si ruppe. Poi agguantò l’eroe per il colletto
della maglietta e lo tirò su di peso. Infine lo portò in un angolo. Ulisse non
aveva via di scampo. Medusa parlò. «Allora, non vuoi aprire gli occhi di tua
spontanea volontà, vorrà dire che i miei
amichetti te li apriranno con la forza». Detto questo, i serpentelli (per
fortuna non velenosi) cominciarono a morsicare le palpebre di Ulisse. Ma lui, cercando
di non far rumore, mosse la mano dentro la tasca e prese un pezzetto di vetro,
quello piccolo, lo scagliò proprio dritto contro i serpentelli, ma loro lo
schivarono con un’inaspettata agilità. Subito dopo l’eroe prese l’altro
pezzettino e lo scagliò, ovviamente sempre con gli occhi chiusi, questa volta
si sentì un rumore agghiacciante. Ulisse aprì gli occhi, vide la testa di Medusa
per terra.
L’eroe disgustato strappò un
pezzo del velo che ricopriva il mostro e lo avvolse intorno alla testa di
Medusa, sapeva che anche da morta, la mostruosa donna poteva pietrificare.
Successivamente entrò dentro
la capanna e prese uno zainetto consunto col tempo, e ci mise dentro un po’ di
viveri e dei soldi che trovò nella stanza di Medusa. Quindi se ne andò
dimenticandosi… della presenza del guardiano.
Ma questo durò solo pochi secondi,
perché Ulisse se lo trovò davanti al naso. Era enorme, alto sei metri, aveva
cinque teste… era… beh fate voi, mettete insieme: un serpente gigante, un drago
sputafuoco e aggiungete altre quattro teste. Il gioco è fatto. La faccia al
centro sputò fuoco e Ulisse si scaraventò di fianco. Ulisse non si ricordava
che nome avesse, qualcosa nella sua mente sapeva che quel mostro aveva una dote
speciale, ma Ulisse non se lo ricordava.
Per fortuna l’eroe aveva
ancora il pezzo di vetro grande quattro pollici. Ulisse provò a fare la stessa
cosa che aveva fatto con Medusa. Si catapultò sulle cinque teste e le tagliò
tutte in un solo colpo.
Ma successe qualcosa di
strano, le teste ricrebbero raddoppiate di numero. Adesso erano dieci e due
sputavano fuoco. Solo ora Ulisse si ricordò che quel mostro si chiamava Idra e
la cosa che non si doveva assolutamente fare era proprio tagliare le sue teste.
Tutte e dieci le teste partirono alla carica, cercando di mordere e mangiare
Ulisse. L’eroe non fece in tempo a togliersi dalla traiettoria del mostro che
una testa lo inghiottì. Ulisse scese per la gola del mostro. Si ritrovò a
galleggiare nell’intestino dell’Idra. Il pover’uomo era coperto da capo a piedi
di melma, e si guardò intorno, non c’era molto spazio, e non c’era nessuno. Vide delle bollicine, forse
l’Idra era pronto per digerire Ulisse. Lui cominciò a battere contro l’intestino
del mostro.
Poi si ricordò di avere
ancora lo zaino in spalla, lo prese, lo aprì e tirò fuori una bottiglia di vino
scaduto. La rovesciò e subito dopo si sentì un grosso rutto che rimbombò per
tutta la foresta. Di colpo Ulisse si trovò di nuovo nella buia familiare selva,
il trucco aveva funzionato, ma il mostro era ancora lì vicino a lui. Ma prima
che l’Idra potesse scagliare un altro colpo, Ulisse tirò fuori la testa di
Medusa. Tolse il velo al viso della
terribile donna, e chiuse gli occhi. Si sentì un sinistro rumore, e quando
l’eroe riaprì gli occhi vide una statua dell’Idra a grandezza naturale.
Quasi subito successe
qualcosa di strano: una driade, spirito della foresta, si avvicinò a lui e
disse: «Oh, giovane eroe, tu hai salvato la mia isola, hai pietrificato il
guardiano dell’isola che mi teneva
prigioniere con le altre ninfe, ti rendiamo grazie. Accetta il mio dono», e
come per magia aprì tra gli alberi un varco da dove Ulisse vide il mare. Ormeggiata
alla spiaggia c’era una nave. L’eroe ringraziò la driade e salpò.
Verso la sua amata casa.
Giada Tondello
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